Report assemblea cittadina 26/10/09 – Indizione assemblea nazionale del 31/10/09

Il 25 Novembre è la data internazionale contro la violenza maschile
sulle donne. Dal 2007 noi donne, ragazze, femministe e lesbiche
scendiamo in piazza (tante e unite) per denunciare una cultura e una
politica sessiste, violente e degradanti. Dal 2007 la rete Sommosse ha
promosso analisi condivise e pratiche politiche sulla violenza di
genere in tutte le sue forme.
L’assemblea bolognese, che ha riunito donne singole, di associazioni,
collettivi femministi e lesbici, invita tutte all’ASSEMBLEA NAZIONALE
DEL 31 OTTOBRE 2009 in vista della MANIFESTAZIONE NAZIONALE organizzata
dalle donne e indipendente dai partiti. La violenza maschile su donne e
lesbiche ha molte facce. Sentiamo la necessità di tornare in Piazza:
– ricordando che la maggior parte delle violenze avviene in famiglia
– combattendo una basilare, ma non scontata, battaglia per l’inviolabilità del corpo e la difesa dell’integrità psicofisica
– denunciando l’uso politico del corpo delle donne e la rappresentazione degradante
– rifiutando un razzismo incalzante che prende la forma di sequestri e
torture dentro i C.I.E.- Centri di Accoglienza ed Espulsione –
(sopratutto per le donne) e di leggi razziste
– indignandoci perché a 30 anni da "Processo per stupro" siamo ancora
noi le reali imputate delle violenze che su di noi vengono agite (vedi
i processi di Montalto di Castro, Bologna ecc.ecc.)
– individuando la violenza verso le lesbiche non solo come  lesbofobia
(fobia-paura) ma odio eterosessista verso soggetti che si sottraggono
all’ eterosessualità obbligatoria
– vigilando affinché nuovi e vecchi fascismi, che sempre hanno
perseguito un’idea di donna alle dipendenze della specie, non si
diffondano azzerando memoria e libertà
– contro il diffondersi di una cultura sempre più violenta e machista
che si accanisce contro chiunque che non si adegui al suo modello di
normalità, come omosessuali, lesbiche, trans…
– rifiutando la logica della paura e dicendo no tanto agli stupratori quanto alle ronde dei giustizieri.
– dicendo stop al Femminicidio
– riaffermandoci come "Indecorose e libere", sia per una questione di
riconoscibilità e continuità ma anche per il contenuto dello slogan, di
una certa attualità dato che nelle motivazioni della recente sentenza
si sostiene che mettendosi in certa situazione poco decorosa una donna
rinuncerebbe implicitamente alla propria incolumità.
Invitiamo tutte all’assemblea nazionale del 31/10/2009
al Centro di ricerca e iniziativa delle donne
in Via del Piombo 5 a Bologna
Dalle 10.00 alle 18.00

Per la costruzione condivisa di una manifestazione nazionale efficace.
Consapevoli della regressione politica e sociale che in Italia viviamo,
noi donne femministe e lesbiche crediamo che l’assemblea nazionale
potrà rappresentare un luogo di confronto sulla piattaforma,
sull’organizzazione della manifestazione, che, a partire dal lavoro
della rete Sommosse e nella prospettiva di coinvolga tante tante donne.
INVITIAMO TUTTE LE COMPAGNE CHE NON POTRANNO PARTECIPARE A FARCI PERVENIRE CONTRIBUTI IN FORMA SCRITTA, SINTETICI POSSIBILMENTE.

Ecco il report dell’assemblea bolognese per esteso:
Ieri 26 ottobre ’09 si è riunita l’Assemblea cittadina bolognese.
Erano presenti  numerose singole e gruppi che pur essendo fortemente
differenti fra loro, vogliono unitariamente rendere la manifestazione
nazionale del 28 ottobre quanto più partecipata e condivisa.
Per questo desiderio, al di là delle perplessità di alcune sulle
modalità fin qui adottate per la convocazione e la comunicazione con la
stampa, si è concordato nella volontà di far convogliare la totalità
delle energie nella preparazione della manifestazione stessa e di
ospitare pertanto SABATO 31 OTTOBRE ’09 l’assemblea nazionale qui a
Bologna.
Innanzituto siamo state concordi nell’individuare come prime referenti 
le compagne con le quali abbiamo condiviso sin dalla 1° manifestazione
del 2007 un percorso che è proseguito con la rete Sommosse per non
trovarci ogni volta ad azzerare il lavoro fatto, ma siamo ben contente
di estendere l’invito a tutte coloro che vorranno unirsi a questo punto
del viaggio.
Vogliamo ovviamente porre ancora e di nuovo al centro come tema comune,
la questione della violenza maschile contro le donne e le lesbiche dato
che di certo non può darsi per risolta.
Questione che può essere declinata e  denunciata e  in svariatissimi modi :
-ricordando che la maggior parte delle violenze avvengono in famiglia
-combattendo una elementare ma non scontata battaglia per l’inviolabilità del corpo e la difesa dell’integrità psicofisica
-ribellandoci contro questo mondo di maschi violenti, portatori di cultura e politica dello stupro!!!
-denunciando l’uso politico del corpo delle donne (con una riflessione sull’intreccio sesso-potere  e denaro)
– rifiutando un razzismo incalzante che prende la forma di sequestri e
torture dentro i C.I.E. (sopratutto per le donne) e di leggi razziste.
– indignandoci perché a 20 anni da "Processo per stupro" siamo ancora
noi le reali imputate delle violenze che su di noi vengono agite (vedi
Montalto di Castro, Bologna ecc.ecc.) e continuando pertanto, a
presidiare i” tribunali patriarcali,” per non fare sentire sole, le
donne che denunciano!!!
-individuando la violenza verso le lesbiche non solo come  lesbofobia
(fobia-paura) ma odio eterosessista verso soggetti che si sottraggono
all’eterosessualità obbligatoria
-vigilando perché  nuovi e vecchi fascismi che sempre hanno perseguito,
un’idea di donna, alle dipendenze della specie, non si diffondano
azzerando memoria e libertà
-Dicendo stop al Femminicidio
– No alla logica violenta tanto degli stupratori quanto delle ronde dei
giustizieri. Per noi una strada è sicura quando è piena di donne.
Rifiutiamo la logica della paura.
Queste alcune delle cose emerse tra noi.
Siamo certe che altre ne emergeranno e crediamo fortemente che
l’Assemblea di Bologna con il contributo di tutte ed in continuità con
il lavoro già fatto e le sintesi raggiunte anche nelle volte precedenti
(vedi piattaforme politiche delle due passate manifestazioni), debba
avere come obiettivo la stesura di una piattaforma politica condivisa.
Invitiamo tutte le compagne che non potranno partecipare (e sappiamo
quanto possa essere difficile e dispendioso raggiungerci  da varie
parti, tipo sud, a farci pervenire contributi in forma scritta MA
SINTETICI!
Cercheremo anche di attivare un collegamento Skype per chi volesse partecipare  comodamente da casa
Tecnicamente non siamo molto organizzate per accogliervi con pranzi e leccornie; vi accompagneremo al bar più vicino
 ma per chi volesse fermarsi la sera, abbiamo organizzato un aperitivo
e festicciola "Witch party" annesso di rito guidato di collegamento
alle antenate guerriere (la cui energia di certo ci serve) ed anche un
letto per chi volesse dormire qui a Bo
L’ assemblea si terrà dalle h.10 alle h.18 co il Centro di documentazione delle  Donne in via del piombo n.5
E’ molto importante cercare di essere puntuali potremmo così fare una
pausa di 45 minuti 1h. alle 13.30 per andare poi avanti fino
alle 18 dedicando magari l’ultima ora e mezzo alla stesura della piattaforma definitiva.
Invitiamo pertanto tutte a venire con interventi mirati alla
costruzione di questa piattaforma ed a riprendere in mano i documenti
comuni già prodotti affinché possano costituire  la base comune su cui
muoverci.
E’ molto importante per noi ricevere comunicazione di chi verrà .
Vi salutiamo vi aspettiamo sabato a Bologna

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noi non siamo complici

NOI NON SIAMO COMPLICI!
Quante volte, studiando la storia del Novecento, è capitato di chiedersi
perché durante il nazismo la gente facesse finta di non vedere quanto
avveniva nelle strade delle proprie città ­ rastrellamenti, soprusi,
violenze ­ e di non sapere ciò che succedeva nei lager? E quante volte la
risposta è stata "Io non avrei potuto far finta di niente"?
E allora perché oggi tante, troppe persone, fingono di non vedere quello che
succede nelle strade, fingono di non capire gli effetti mortali che il
cosiddetto "pacchetto sicurezza" ha sulla vita di migliaia di esseri umani,
fingono di non sapere che nelle città in cui viviamo ci sono luoghi che, per
come ci si viene rinchiusi/e e per alcune delle violenze che vi vengono
esercitate, ricordano i famigerati lager di stampo nazista?
Questi luoghi si chiamano Cie, ­ Centri di identificazione ed espulsione,
nuovo nome per i Cpt, ­ Centri di permanenza temporanea creati nel 1998 con
la legge Turco-Napolitano e disseminati su tutto il territorio nazionale. Da
tempo le migranti e i migranti detenute/i denunciano le spaventose
condizioni di vita all’interno dei Cie, le continue violenze e umiliazioni,
i pestaggi, le malattie non curate e le morti sospette. Ciononostante il
ministro Maroni ha annunciato recentemente, in nome della "sicurezza", la
costruzione di nuovi Centri di identificazione ed espulsione.
Hanno provato a raccontarci che nei Cie vengono rinchiusi i "clandestini"
perché gli stranieri sarebbero tutti, secondo la retorica del razzismo
istituzionale,  criminali e potenziali stupratori, e che quindi, anche senza
che abbiano compiuto alcun reato, è giusto che stiano rinchiusi lì anche per
6 mesi per poi venire espulsi dall’Italia.
Ma noi sappiamo cos’è la sicurezza di cui ci parlano. Sappiamo cosa sono i
Cie. Sappiamo cos’è il razzismo istituzionale. E sappiamo cos’è la violenza.
Sappiamo per esperienza che i luoghi pericolosi per le donne sono
soprattutto le case in cui viviamo, i luoghi in cui lavoriamo, le canoniche
e le questure nelle quali abbiamo la sventura di avventurarci o di essere
portate. E anche le quattro mura di un Cie, dove tantissime donne subiscono
molestie, torture e stupri da parte dei loro guardiani.
Umiliazioni e violenze che le donne migranti non hanno mai smesso di
denunciare. Come Raya, una delle donne migranti rinchiuse nel Cie di via
Mattei a Bologna, che lo scorso maggio è stata picchiata da un poliziotto in
borghese e poi lasciata svenuta sul pavimento sotto gli occhi indifferenti
degli operatori della Misericordia, il "misericordioso" ente che gestisce il
Centro. O come le donne migranti che nel Cie di Lampedusa hanno intrapreso,
all’inizio dell’anno, una lunga rivolta per protestare contro i rimpatri,
denunciare le condizioni all’interno del Cie e chiederne la chiusura. O come
la protesta delle compagne di Mabruka, donna di origini tunisine da 30 anni
in Italia, che si è impiccata nel Cie di Ponte Galeria  a Roma ad aprile pur
di non essere deportata, protesta che si è poi estesa alle camerate degli
uomini. O come Joy, una donna africana imprigionata e processata a Milano
per essersi ribellata, lo scorso agosto, ad un tentativo di stupro da parte
dell’ispettore-capo del Cie Vittorio Addesso e alle condizioni disumane in
cui, con altre donne e uomini, era costretta a vivere nel Cie di via
Corelli. Per le sue dichiarazioni  Joy rischia, ora, un processo per
calunnia, perché nell’Italia del terzo millennio questi lager non si possono
mettere in discussione, e quello che accade lì dentro deve restare
omertosamente nascosto. Proprio come la violenza sessista che le donne
subiscono in famiglia e nei luoghi di lavoro.
Noi sappiamo e non vogliamo tacere. Non vogliamo essere complici delle
violenze perpetrate contro le donne migranti in nome della "sicurezza".
In concomitanza con la sentenza per la rivolta nel Cie milanese di via
Corelli, abbiamo scelto di trovarci davanti al Cie di Bologna per esprimere
alle donne rinchiuse lì la nostra vicinanza solidale, ma anche e soprattutto
per denunciare all’esterno quello che accade dentro questi lager del terzo
millennio.
E tu? Continuerai a far finta di non sapere?

scarica qui il volantino no_complici-4.pdf

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DONNE MIGRANTI E MATERNITÀ di Raffaella Carron

DONNE MIGRANTI E MATERNITÀ
di Raffaella Carron

Negli ultimi tempi è cresciuta la preoccupazione per il destino delle donne migranti che si trovino in stato di gravidanza nel nostro Paese senza un permesso di soggiorno valido. Questa preoccupazione è senz’altro dovuta all’inasprimento della normativa riguardante i migranti “irregolari”programmato ed infine attuato dall’attuale governo con la legge n. 94/2009, il cosiddetto “pacchetto sicurezza”. È dell’estate scorsa la notizia della donna migrante che temeva una denuncia da parte dei medici che l’avevano aiutata durante il parto, i quali le avevano chiesto le sue generalità al solo scopo di registrare all’anagrafe il suo bambino. Più di recente l’assessore alla sanità della Regione Puglia si è sentito in dovere di sollevare con una circolare i medici degli ospedali dall’obbligo di sporgere denuncia in casi analoghi.

Il timore per il destino che la legge italiana prospetta per queste donne e i loro bambini è condivisibile.
Innanzitutto occorre premettere che l’ordinamento estende anche alle donne straniere irregolarmente presenti in Italia le norme a tutela della maternità, ed esclude la loro segnalazione alle autorità da parte del personale sanitario.

Al di là dell’assistenza sanitaria, però, le donne straniere irregolari che affrontano la maternità nel nostro Paese si trovano in una posizione estremamente fragile.
Infatti, il Testo Unico sull’immigrazione prevede, all’art. 19, che non è consentita l’espulsione “delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono”.
In questi casi, quindi, le donne migranti possono ottenere uno speciale permesso di soggiorno, chiamato appunto permesso ex art. 19, che ha però l’unico scopo di certificare la loro inespellibilità.

Questi permessi di soggiorno non possono essere prorogati, né possono essere convertiti in un altro tipo di permesso di soggiorno, ad esempio per motivi di studio o di lavoro. Allo scadere dei sei mesi previsti dalla norma, quindi, le neo mamme saranno in ogni caso espulse.
Questa situazione di totale precarietà si è ulteriormente aggravata con l’entrata in vigore del “decreto sicurezza”.

Infatti, il rilascio del permesso di soggiorno ex art.19 non elimina lo stato di clandestinità delle interessate, ma si limita a vietarne temporaneamente l’espulsione. Di conseguenza, queste donne saranno imputabili per il fatto di essere entrate nello Stato senza autorizzazione e il procedimento penale non sarà sospeso dal loro stato di gravidanza.
La sospensione del procedimento penale e l’eventuale non luogo a procedere sono previsti soltanto nel caso in cui l’imputata richieda e ottenga un permesso di soggiorno di protezione internazionale, sostanzialmente assegnato per eccezionali motivi umanitari.

Queste donne si troveranno nella paradossale situazione di poter chiedere un permesso di soggiorno da un lato e di doversi autodenunciare per ottenerlo dall’altro.
Unica eccezione si potrebbe avere nel caso in cui la donna perda il permesso di soggiorno durante la gravidanza: in questo caso, infatti, non sarebbe entrata irregolarmente in Italia e, poichè la sua permanenza sarebbe consentita dall’art. 19, si potrebbe sostenere che tale norma consenta l’ esercizio di un vero e proprio diritto, quindi preveda una causa di non punibilità.

Negli altri casi ci sarà il processo e la condanna comminerà una pena pecuniaria dai 5 ai 10 mila euro, somma difficilmente reperibile anche da un italiano mediamente occupato, figuriamoci da una donna clandestina in stato di gravidanza o di puerperio.
Le procure hanno già cominciato a sollevare questione di costituzionalità del reato di immigrazione clandestina: speriamo dunque che questa norma abbia vita breve.
Torniamo adesso alla nostra neo mamma. Abbiamo detto che, allo scadere dei sei mesi dalla nascita del bambino, lei e suo figlio dovranno lasciare il Paese.
Il Testo Unico sull’Immigrazione prevede una serie di disposizioni a tutela dei minori, compresa la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno ai familiari del minore “per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano” (Art. 31, III comma).

Qualora il Tribunale per i minorenni lo ritenga necessario per lo sviluppo psicofisico del minore, dunque, potrà autorizzare la madre (e il padre) a rimanere in Italia finché dura lo stato di necessità, in questo modo rimandando il momento dell’espulsione.
Anche questo permesso di soggiorno, detto “di assistenza al minore”, non è un permesso di soggiorno che regolarizza la posizione del genitore, e non può essere convertito in altro permesso di soggiorno. Anche in questo caso, quindi, la permanenza in Italia è temporanea e non consente alcun progetto di integrazione.

C’è un unico, eccezionale caso in cui la trafila di permessi temporanei si interrompe: qualora la madre non possa trasmettere al figlio la propria cittadinanza, il minore nato in Italia è italiano. È un caso molto raro, si verifica quando il Paese di origine della madre non prevede la trasmissione della cittadinanza ai figli dei suoi cittadini qualora nascano all’estero.
In questo caso, e solo in questo, la madre potrà ottenere un vero e proprio permesso di soggiorno per motivi familiari in base all’art. 30 del Testo Unico, che prevede che “…al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia… il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana.”
 In conclusione, il Testo Unico sull’immigrazione tutela soltanto in minima parte le donne che si trovano ad affrontare una maternità nel nostro Paese, e soprattutto tutela ancora troppo poco coloro che, non per scelta loro, nel nostro Paese ci nascono.

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la violenza per le donne inizia presto, impariamo a ricoscerla sin da piccole

Gran Bretagna, inchiesta choc: un terzo degli adolescenti ha subito abusi in un rapporto di coppia

google_protectAndRun(“ads_core.google_render_ad”, google_handleError, google_renderGran Bretagna: indagine choc, un terzo adolescenti ha subito abusi nella coppia

01 Settembre 2009 15:22 CRONACHE

LONDRA – Un terzo delle adolescenti inglesi ha subito abusi sessuali
all’interno di un rapporto di coppia, un quarto e’ stato vittima di
violenze da parte del fidanzato. Lo dice uno studio britannico
commissionato dalla ‘National Society for the Prevention of Cruelty to
Children’. L’indagine, condotta dall’Universita’ di Bristol su un
campione di 1.400 ragazze fra i 13 e i 17 anni, mostra come circa il
90% delle intervistate ha avuto rapporti intimi. Una su sei ha
confessato di aver subito pressioni per fare sesso, una ogni 16 sarebbe
stata addirittura violentata. Una ogni tre ha inoltre riferito di
essere stata forzata dal partner ad avere rapporti – dal bacio al sesso
– contro la sua volonta’. (RCD)

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Una ragazza di diciotto anni, Sanaa Dafani – Patrizia Romito

Una ragazza di diciotto anni, Sanaa Dafani, uccisa pochi giorni vicino a Pordenone dal padre, che si opponeva alle sue scelte di vita. Siamo piene di dolore e di collera per la vita spezzata di questa giovane donna. La morte di Sanaa si aggiunge a quelle di donne uccise o gravemente ferite in Italia negli ultimi mesi: Cristina M., 34 anni, uccisa dal marito separato (Rho, 29/8); Rosalia D.,  17 anni, ferita gravemente alla testa dal fidanzato che voleva lasciare (Palermo, 23/8); Marta B., 36 anni, uccisa dal marito da cui si voleva separare, uccisi anche i due figli piccoli, Fabio e Mattia (7/8); Rossellina L., accoltellata a morte dal marito da cui stava divorziando (ViboValentia, 8/8); una donna non identificata dal giornale, accoltellata dal marito che voleva lasciare (Bari, 8/8); un’altra donna non identificata, strangolata dal convivente geloso (Roma,12/8).  Al di là delle differenze –  Sanaa è stata uccisa dal padre, un immigrato marocchino; le altre donne, e i loro bambini, da mariti o compagni, tutti italiani – colpiscono gli elementi comuni di queste tragedie: queste donne sono state uccise perché volevano scegliere le loro vite – allontanarsi dalla famiglia di origine e vivere con la persona amata, oppure chiudere una relazione, o lasciare un uomo violento, e perché pensavano, nell’Italia del 2009, che fosse possibile farlo. Sono morte perché uomini a loro vicini non hanno sopportato la loro autonomia, la loro libertà: da questa libertà si sono sentiti diminuiti, e le hanno uccise. Violare, maltrattare, uccidere una donna è inaccettabile. Non ci sono scusanti di ordine culturale o religioso: nel 2007, un giudice tedesco ha ridotto la pena a un immigrato italiano, colpevole di aver sequestrato e torturato la fidanzata che voleva lasciarlo, in quanto aveva considerato che venisse da una cultura arretrata. Né possiamo accettare le scusanti addotte quando un uomo uccide la moglie, e spesso i figli, perché lei voleva lasciarlo, spesso dopo anni di maltrattamenti: un raptus, un litigio, troppo amore, troppo dolore. Ma non possiamo neppure accettare che l’assassinio di Sanaa venga strumentalizzato per una campagna razzista, in cui tutti gli immigrati vengono assimilati a quei pochi che delinquono: sarebbe come affermare che tutti gli uomini sono degli assassini perché alcuni uccidono le donne. Né possiamo accettare una visione delle culture diverse dalla nostre come statiche, immutabili: in Italia il delitto d’onore è stato abrogato dal Codice penale italiano solo nel 1981. Le culture cambiano, evolvono: quella italiana, come le altre.

Leggiamo dai giornali che la Regione Friuli Venezia Giulia vuole costituirsi parte civile contro il padre assassino di Sanaa. E’ un atto forte di assunzione di responsabilità nel contrasto della violenza maschile contro le donne. Ci aspettiamo che questo atto sia accompagnato da altre misure, come il sostegno ai Centri anti-violenza.  Per concludere, speriamo con tutto il cuore che, anche grazie al lavoro dei Centri anti-violenza e delle istituzioni – forze dell’ordine, giustizia, operatori socio-sanitari-, nessuna donna debba essere più uccisa solo perché è  una donna. Se questo tragicamente dovesse accadere, qualunque sia il colore, la cultura o la religione  dell’assassino, ci aspettiamo che non solo la Regione ma anche gli altri Enti locali e lo Stato siano altrettanto forti e determinati nel condannare la violenza.

Patrizia Romito (romito@univ.trieste.it)

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L’Italia finanzia le violenze contro le donne migranti

Quelle che non ci stanno parteciperanno al presidio indetto dalla lista civica di donne -Altra Città

L’Italia finanzia
le violenze contro le donne migranti
 

Mercoledì 23 Settembre dalle ore 18

 

PRESIDIO

Piazza Nettuno, Bologna

 

Sono tante le
testimonianze dei soprusi e delle torture subiti dalle persone detenute nei
centri di concentramento libici, ma per le donne, oltre alle torture, il
trattamento prevede violenze sessuali e stupri di gruppo! L’Italia, finanziando
la polizia e le carceri libiche e respingendo donne e uomini verso la Libia, è
complice di queste atroci violenze.

Dalla
frontiera meridionale libica ogni anno entrano migliaia di migranti e rifugiati
sprovvisti di

documenti, alcuni dei quali poi continuano il viaggio
verso l’Italia. Anche se uomini e donne africani che arrivano via mare
rappresentano una minima parte dei migranti senza documenti presenti in Italia,
il governo italiano ha concentrato attenzione e risorse sugli sbarchi, poiché
essi rappresentano il simbolo della prospettiva emergenziale costruita da anni
sul tema dell’immigrazione: sul regime di paura alimentato dalla menzogna dell’”invasione”
si gioca la propaganda razzista e criminalizzante del governo, ormai
istituzionalizzata nel pacchetto sicurezza.

In base agli accordi tra il governo italiano e il
governo libico e alle nuove politiche migratorie inaugurate dall’Italia, le donne
e gli uomini provenienti dalla Libia, anche se quasi mai di nazionalità libica,
vengono “respinti” senza avere la possibilità di arrivare in Italia e di
presentare richiesta di diritto d’asilo, di cui la maggior parte di loro è a
tutti gli effetti titolare. Da quando sono cominciati i respingimenti in mare
sono stati finora oltre 1.200 le persone che le autorità italiane hanno
riconsegnato alla Libia. Durante la detenzione nelle carceri libiche, uomini e
donne subiscono violenze inaudite e vere e proprie torture, “Abusi, vessazioni,
maltrattamenti, arresti arbitrari, detenzioni senza processo in condizioni
degradanti, torture, violenze fisiche e sessuali, rimpatri di rifugiati e
deportazioni in pieno deserto. Crimini che l’Unione europea finge di non vedere…”
queste le amare conclusioni di un rapporto curato da Fortress Europe nel 2007.

Le donne in particolare subiscono, oltre alle
violenze fisiche e psicologiche, stupri ripetuti e collettivi. In seguito alle
violenze sessuali, molte di loro rimangono incinte e sono costrette a ricorrere
ad aborti clandestini, che spesso le uccidono.

E non è che le cose in “patria” vadano meglio: nei
CPT (oggi CIE) viene applicato lo stesso progetto repressivo e violento. Ne è
una prova la protesta al CIE di via Corelli a Milano, soffocata dalla violenza
delle Forze dell’Ordine. I processi si svolgeranno il 21 e il 23 settembre e
vedono implicato anche l’ispettore capo di servizio al centro, accusato da una
partecipante alla protesta di tentata violenza sessuale. 

Paradossalmente
tutto questo viene fatto al fine di garantire la “sicurezza “ dei cittadini e
delle cittadine italiane e anche in nome della violenza contro le donne. La
ministra Carfagna ha sostenuto, nell’incontro con Gheddafi dello scorso giugno,
di voler aiutare le donne africane, e ha presieduto in questi giorni un G8
contro la violenza alle donne escludendo i centri antiviolenza. Di fatto
però l’Italia finanzia attivamente le violenze contro donne e uomini migranti
con importanti stanziamenti finanziari e di mezzi alla Libia.
Del corpo
delle donne viene sempre fatto un uso strumentale, viene data risonanza
mediatica solo agli stupri di stranieri su donne italiane, quando le violenze
commesse  da uomini migranti costituisce
solo una minima parte delle violenze agite sulle donne nel nostro paese. La
maggior parte della violenza avviene all’interno della famiglia cosiddetta
“normale”, promossa e protetta e al centro di tutte le politiche sociali.

Vogliamo
che sulla violenza alle donne non venga fatta nessuna strumentalizzazione per
avallare leggi razziali!

Vogliamo
la  libertà di migrazione per tutte/i,
sia per le persone che emigrano per necessità, in fuga da guerre, dittature e
persecuzioni, sia per le/i migranti economici, e per tutte/i coloro che
desiderano migrare.
 

Vogliamo
che vengano interrotti immediatamente i respingimenti, che vengano garantiti il
diritto all’esistenza, alla libertà, all’autodeterminazione delle e dei
migranti, no al reato di clandestinità, no al pacchetto sicurezza.

Vogliamo
che le donne che arrivano nel nostro paese non debbano subire ogni tipo di
violenza senza potersi ribellare proprio perché una legge della nostra
repubblica le rende ricattabili.

Non possiamo più far finta di non vedere e di non
sapere, non possiamo non riconoscere il legame tra violenza contro le donne,
sessismo, razzismo, lesbo/trans/omofobia, che porta alla normalizzazione di
vecchi e nuovi fascismi, auspichiamo che le voci di dissenso producano nuove
forme di resistenza.

Invitiamo tutte/i/* a
partecipare!!

 
Altra città – Lista civica di donne

 
Per
adesioni: altracitta@women.it

 Scarica qui il volantino dell’indizione del presidio:

PRESIDIO-Italia-finanzia-le-violenze-contro-le-donne-migranti.doc

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Sanaa, una di noi. Uccisa perché libera.

Sanaa, una di noi. Uccisa perché libera.
di Barbara Spinelli
L’Altro, 17.09.2009
 
La forza di rompere le catene e scegliere la propria felicità ha un
prezzo, che ogni donna rischia di pagare quando prende in mano il timone
della propria vita.
Che si tratti di scegliere di amare un uomo che odora di altri
profumi o prega un altro dio, che si tratti di lasciare un uomo che
soffoca le nostre aspirazioni nella tomba della quotidianità della fede
che porta al dito, che si tratti di volere un figlio sapendo che quello
stronzo che ci ha assunte userà quella lettera in bianco che ci ha fatto
firmare stroncando la nostra carriera, che si tratti di voler diventare
velina costi quel che costi, quando una donna decide e afferra in mano
la propria esistenza, spesso paga un prezzo troppo alto, un surplus di
sofferenza, di morte, fisica, psicologica e sociale, “in quanto
donna”.
Femminicidio. La prima causa di morte per le donne nel mondo, in
Italia. La prima causa di infelicità. Femminicidio: ogni pratica sociale
discriminatoria o violenta, rivolta contro la donna “in quanto donna”,
nel momento in cui la stessa sceglie di autodeterminarsi e di non
aderire passivamente al ruolo sociale scritto per lei dalla società
patriarcale (brava madre, moglie, figlia, oggetto sessuale), posto in
essere col fine di annientarla fisicamente, psicologicamente, nella sua
libertà e posizione sociale.
Sanaa era una di noi.
Quello che ci accomuna tutte è che prima o poi, in qualche forma,
ci troveremo a dover combattere, faccia a faccia con l’odio di un
maschio incapace di accettare la nostra capacità di scegliere in
autonomia cosa fare della nostra vita, del nostro corpo.
Noi lo sappiamo, che il resto -colore della pelle, religione,
depressione, passione, disoccupazione- è solo una giustificazione
apparente di questo odio, la circostanza in cui esso si manifesta, non
certo la causa fondante.
Sanaa uccisa prima di tutto perché ha disobbedito a suo padre. Ha
pagato con la vita. Come Irene, uccisa dal padre in agosto perché non
gli piacevano le sue amicizie e le sue serate a base di eroina. Come la
figlia di Giorgio Stassi, che in maggio si è vista ammazzare da suo
padre il ragazzo perché non voleva che si vedessero. Come Sabrina, che
in aprile ha visto il padre Pier Luigi Chiodini abbattere a sprangate il
ragazzo che lui non voleva per lei davanti ai suoi occhi. Qualche nome,
per non dimenticare. Perché è comodo rimuovere facce, nomi, storie di
altre di noi che hanno pagato con la vita le loro scelte di libertà, o
l’incapacità di liberarsi da uomini che le opprimevano.
Se è facile riconoscere il razzismo, sembra che ci sia un impegno
collettivo per rimuovere l’esistenza del sessismo.
Facile parlare di omicidi culturali, guerra di religione, e
ignorare sistematicamente che dietro ogni donna morta per amore, o per
religione, c’è un uomo che l’ha uccisa convinto che lei non avesse
diritto di scegliere da sola.
E’ violenza di genere, che trova la sua causa nel mancato
riconoscimento da parte dell’assassino del fatto che quella donna che ha
davanti non è una sua appendice, un essere sottoposto al suo volere, ma
è una Persona la cui dignità e libertà di scelta va rispettata. Una
Persona con cui mettersi in relazione, non da correggere, proteggere,
educare o punire.
Non importa se gli uomini dicono che ci ammazzano per amore, per
vendetta, per onore, o per giustizia divina.
Non importa se a chi governa fa comodo strumentalizzare queste
giustificazioni per stringere la morsa del controllo sociale e portare
avanti politiche securitarie.
Che lo facciano per forza di numeri, ma non con la nostra
connivenza, non in nostro nome.
Noi ci siamo per ribadire che la nostra vita e la nostra libertà di
scelta hanno un valore assoluto, sempre. E che non ci devono essere
giustificazioni per nessuno: né per il padre geloso né per il padre
fondamentalista.

http://femminicidio.blogspot.com/

Postato
da Barbara Spinelli su FEMMINICIDIO il 9/17/2009 01:25:00
AM

Pubblicato in violenza e donne immigrate | 1 commento

quando le ragazze reagiscono

Un ragazzo la «assilla» in chat
Lei si vendica facendolo rapinare

La vittima, un giovane di 25 anni, è stato attirato con la scusa di
un appuntamento. Lì in fratello e tre amici della giovane gli hanno
rubato cellulare e portafoglio

 

VERONA – Stanca di essere «molestata» in chat da un
venticinquenne di Roncà, nel Veronese, una ragazza ha architettato, con
l’aiuto del fratello e di altri tre ragazzi, di cui due minorenni, una
rapina ai danni del corteggiatore indigesto.

A scoprire il raggiro sono stati i carabinieri di Monteforte, luogo
dell’agguato, che hanno denunciato i quattro responsabili
dell’aggressione. La vittima della rapina, un ragazzo di 25 anni,
domenica 13 settembre si era recata in centro a Monteforte, per
l’appuntamento con la ragazza conosciuta in rete. Visto in lontananza
un gruppetto di ragazzi che si azzuffavano, era intervenuto per
dividerli, ma era stato subito preso a calci e pugni dai quattro, e
derubato di un borsello contenente 170 euro e un cellulare. Nel corso
della colluttazione, il venticinquenne di Roncà ha riportato contusioni
al volto e alla testa.


18 settembre 2009

Pubblicato in Femminicidio quotidiano | Commenti disabilitati su quando le ragazze reagiscono

un no di una ragazza è un no, bisogna imparare il limite. il processo mediatico che subisce una ragazza che accusa uno stupro è indegno.

"Violentata da quei tre sulla spiaggia"

Tor San Lorenzo, interrogata dal pm: la ragazza ribadisce le accuse

È stata interrogata giovedì sera in procura fino a tarda sera,
Laura (nome di fantasia), la studentessa di diciassette anni che ha
denunciato una violenza di gruppo in spiaggia a Tor San Lorenzo
nella notte di Ferragosto. «Mi hanno violentata, mi hanno
violentata. Non è vero niente di quello che hanno detto i
testimoni, non è stato solo un bacio. Mi hanno violentata», ha
detto la ragazza al pm, Giuseppe Patrone, e agli agenti della
squadra mobile capitolina che erano presenti all´interrogatorio. Un
racconto difficile e faticoso: la giovane sa che molti dei
testimoni hanno raccontato una versione che contrasta con la sua.
Ma Laura non torna sui suoi passi: la descrizione fatta al
magistrato non cambia. Per lei quella sulla spiaggia di Tor San
Lorenzo è stata una violenza di gruppo. Un racconto frammentato che
è durato quasi cinque ore. Avrebbe spiegato di essersi appartata
con uno dei gemelli, ma poi, avrebbe detto, la cosa è andata oltre.
Nonostante il suo no. E si sono aggiunti gli altri due. Laura non
ha dubbi che si sia trattato di violenza di gruppo.

Si è presentata in procura a Velletri in gran segreto giovedì
intorno alle 5 del pomeriggio. Con lei, i genitori e l´avvocato. È
stata un giornata difficile per la minorenne: prima un colloquio
con il legale nel pomeriggio, poi, l´interrogatorio davanti al pm.
Si stringe ai genitori, ma il peso psicologico di quella notte da
incubo è un carico ancora troppo forte sulle sue giovanissime
spalle. Insieme a loro, anche la sua amica del cuore con mamma e
papà, la giovane da cui Laura doveva passare la notte. Sono state
sentite entrambe dal magistrato e, tutte e due, sono scese nei
dettagli di quegli istanti drammatici. La sua amica, che chiameremo
Martina, ha ripercorso gli istanti in cui ha sentito Laura gridare,
ha spiegato di come l´amica abbia chiesto di rimanere sola con lei.
E poi sia scoppiata in un pianto senza fine. Un racconto che è
partito dalla festa, dai balli sulla spiaggia. Da qualche birra di
troppo e dai tre indagati, ragazzi che Martina conosce da tanto
tempo.

È iniziato così, con il racconto delle due ragazze, il percorso
della procura di Velletri. Nei giorni scorsi, Giuseppe Patrone
aveva fatto capire a chiare lettere di non voler sentire i tre
indagati fino a che non avrà tra le mani i test dei tamponi sulla
ragazza e il confronto con quelli del dna. Un´inversione di marcia:
mentre tutto faceva pensare che il magistrato avrebbe deciso di
ascoltare prima i tre indagati, il pm, in attesa degli esiti che
dovranno arrivare dalla polizia scientifica, ha deciso di ascoltare
prima la vittima. Ma già lunedì, inizieranno i primi interrogatori.
E questa volta toccherà agli accusati e ai testimoni sentiti quella
mattina dalla squadra mobile.

(22 agosto 2009)
Pubblicato in Femminicidio quotidiano | Commenti disabilitati su un no di una ragazza è un no, bisogna imparare il limite. il processo mediatico che subisce una ragazza che accusa uno stupro è indegno.

il probelma non è l’alcol che ingerisco, il problema è lo stupratore intorno a me

Sedicenne stuprata durante una sagra
arrestato un giovane romeno

Arcinazzo, lui fa il guardiano notturno. Si erano appena conosciuti
di Maria Elena Vincenzi

 

ROMA – Ancora uno stupro nell´hinterland romano.
Ancora una brutta storia di abuso sessuale tra giovanissimi. Nella
notte tra giovedì e venerdì un´adolescente ha denunciato di essere
stata violentata ad Arcinazzo Romano, località turistica a sud
della Capitale, durante una fiera di paese. La vittima è una
studentessa di appena 16 anni. Il presunto stupratore, un romeno di
18, da poco tempo in Italia, guardiano di notte in una azienda del
posto, è stato arrestato dai carabinieri per violenza sessuale
aggravata dalla minore età della vittima.

Giusto pochi giorni fa una diciassettenne aveva accusato di stupro
tre ragazzi con cui aveva passato la notte di Ferragosto accanto a
un fuoco, sulla spiaggia di Tor San Lorenzo, località del litorale
laziale.

Giovedì era il giorno della sagra "Magna Longa", l´evento più
atteso dell´estate. Una fiera enogastronomica dedicata ai prodotti
locali. Salumi, olio e vino, a fiumi. Una festa molto attesa dai
giovani: erano circa 400 quelli che si sono presentati nel piccolo
borgo. Musica, cibo, bicchieri che si riempiono e si svuotano in
fretta. Sulla pista da ballo i due giovani si conoscono e fanno
amicizia. Poi, dopo un po´, si appartano: lei, stando ai racconti
dei testimoni, ha bevuto un po´ troppo. E´ debolissima, poco lucida
e non in grado di opporre resistenza, di ribellarsi. E l´altro ne
approfitta.

Minuti di vuoto, forse anche di più. Quando torna dalle amiche la
ragazza ricomincia a ballare, ma inizia anche a ricordare qualcosa
che non va. Sul suo corpo ancora acerbo trova tracce di sangue. Si
sforza, ma non riesce a ricostruire quegli attimi. Decide di
chiamare i genitori. Poche ore dopo la ragazza è in caserma dai
carabinieri a firmare la denuncia.

«Ero sporca di sangue – ha raccontato ai militari della compagnia
di Subiaco guidati da Alessandro De Vico – ma non ricordo bene cosa
è successo». Prima di presentarsi agli uomini dell´Arma, però, i
genitori hanno portato la minore all´ospedale di zona dove i
sanitari hanno accertato un rapporto sessuale. Sono stati fatti i
tamponi per gli esami del caso e per la ricerca del dna su cui si
baseranno le indagini. Nel sangue della teenager i medici hanno
trovato anche un tasso alcolico molto alto.

Tutto in una notte. È appena l´alba quando i militari, grazie anche
alle testimonianze delle amiche della ragazza, trovano il giovane
romeno e lo arrestano. Il diciottenne è ora richiuso nel carcere di
Rebibbia e stamattina verrà sentito dal gip che dovrà convalidare
il fermo emesso dal pm Giuseppe Mimmo. E proprio dal procuratore di
Tivoli arriva, ancora una volta, l´allarme sulla prevenzione. «Il
nostro territorio è vastissimo – ha detto Luigi De Ficchy – e ha
solo 7 sostituti procuratori, organico assolutamente insufficiente
alle necessità. Servirebbe una presenza più cospicua di polizia e
carabinieri. Appelli che lancio da tempo ma che, fino ad ora, non
sono stati ascoltati».

(22 agosto 2009)
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