raptus, depressione…mai femminicidio lo chiamano!

Accoltella la moglie
e si getta dal terzo piano

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La figlia: "Era depresso, i medici non l’hanno ricoverato"

MASSIMO NUMA, NICCOLÒ ZANCAN

Il
signor Angelo Cuda si è svegliato di soprassalto alle sei di mattina:
«Il litigio al piano di sopra era molto violento. Ho chiamato il 118 e
sono andato a vedere». Via Cadorna 36, Santa Rita. Una palazzina curata
con i pavimenti di graniglia. Fuori era ancora buio. Il signor Cuda è
uscito in pigiama, è salito fino al terzo piano, ha suonato il
campanello della famiglia Vianelli, marito e moglie in pensione.
Attraverso la porta si è sentito rassicurare: «Tutto a posto,
Margherita è caduta, ha sbattuto la testa, è un po’ che non sta bene».
Codice verde, stando alle prime descrizioni della scena. Nulla di
troppo grave.

Ma quando sono arrivati gli infermieri della
Croce Rossa, sull’autoambulanza numero 39, hanno trovato una situazione
completamente diversa.
La signora Margherita Netti, 68 anni, era
accasciata sulle piastrelle dell’ingresso, con la faccia rivolta verso
la camera da letto. Aveva una ferita da arma da taglio all’altezza
dello sterno, cadendo aveva sbattuto violentemente la testa.
Gravissima. Il signor Enrico Vianelli, 75 anni, si disperava in preda a
un’angoscia assoluta. Gli hanno detto di stare seduto. Si è messo a
parlare con un vicino di casa, cercava di tranquillizzarlo. Ma quando
ha visto i medici tentare la rianimazione senza successo, quando si è
reso conto che le condizioni di sua moglie erano disperate, ha aperto
la portafinestra che si affaccia sul piccolo cortile interno e si è
buttato giù. In ciabatte. È omicidio e suicidio in due tempi. Ennesima
tragedia della depressione.

È arrivata un’altra autoambulanza,
la 005, chiamata dai colleghi. Poi i carabinieri della Compagnia
Mirafiori, agli ordini del capitano Massimiliano Pricchiazzi. In via
Cadorna non c’era più molto da fare. La signora Netti è stata
dichiarata morta alle sette di mattina. Il signor Vianelli, quattro ore
dopo, al pronto soccorso del Cto.
Giù in strada restava la
disperazione della figlia Simona, avvisata sempre dal signor Cuda:
«Papà stava molta male – raccontava in lacrime – aveva delle crisi
sempre più forti, non riusciva a controllarsi. Aveva paura di se
stesso, voleva essere curato. Ma i medici l’hanno rimandato a casa».

I
carabinieri hanno ricostruito con precisione la dinamica dell’omicidio,
lo sfondo di sofferenza e malattia mentale. In casa della famiglia
Vianelli hanno sequestrato quattro coltelli, due su un tagliere, altri
due vicino al lavabo della cucina. Le analisi scientifiche chiariranno
qual è stata l’arma del delitto. Un solo fendente profondo.

Da
un anno il signor Vianelli era clinicamente depresso. Prendeva
psicofarmaci, parlava della malattia, si sfogava con i vicini: «Sono
distrutto, voglio morire». Le sue condizioni stavano peggiorando,
invece che migliorare. Pensieri neri, sempre più ossessivi. Manifestava
con insistenza propositi di suicidio. Ma non aveva mai manifestato
aggressività verso gli altri. «Da dieci giorni però era cambiato –
hanno raccontato i parenti – aveva paura di perdere il controllo.
Diceva: “Prima o poi faccio male a qualcuno”». L’ultima visita da un
neurologo dell’ospedale Poveri Vecchi, una settimana fa. Dopo un crisi
che lo aveva prostrato profondamente. Ma era tornato a casa. Alle
stesse angosce.

È stata una settimana molto tormentata. Una
discesa all’inferno. Litigi sempre più frequenti, sentiti dai vicini di
casa. Ora nessuno può raccontare quale motivo abbia fatto scattare
l’ultimo raptus. Ma in molti possono testimoniare la storia di un
omicidio annunciato. «Capitava sempre più spesso di sentirli urlare –
dicono in via Cadorna – lei si difendeva. Lui era molto preoccupato,
diceva di essere esaurito».

Enrico Vianelli aveva fatto
l’elettricista alla Fiat. Margherita Netti aveva lavorato in una
pasticceria. Una coppia affiatata. Una lunga vita serena insieme, prima
della malattia.

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