il marito violento voleva solo impedire il riconoscimento?o era il piano di un femminicidio calcolato?

Omicidio playmate, fermato un uomo

Ryan Alexander Jenkins, 32 anni, è accusato di aver ucciso e mutilato l’ex moglie, la modella Jasmine Fiore

 
 

WASHINGTON – Forse "l’animale" è finito in trappola. La
polizia di Toronto ha fermato un uomo che potrebbe essere Ryan
Alexander Jenkins, 32 anni, accusato di aver ucciso e mutilato l’ex
moglie, la modella Jasmine Fiore. Il cadavere della ragazza era stato rinvenuto il 15 agosto all’interno di una valigia a Buena Park, California.

VIOLENZA INAUDITA – La polizia ha rivelato che l’assassino,
nella speranza di impedire il riconoscimento della vittima, le aveva
tagliato le dita, sfigurato il volto e tolto i denti. Un crimine di
violenza inaudita che ha aggiunto dolore e rabbia per i familiari della
ragazza. Gli agenti, però, sono riusciti a dare lo stesso un nome al
cadavere usando i numeri di serie della protesi al seno. Jasmine, che
aveva posato per case che producevano costumi da bagno, si era
sottoposta a un intervento. La tecnica impiegata dalla Scientifica è
relativamente nuova, ma si è rivelata spesso decisiva.

LA DENUNCIA – Jenkins, dopo aver commesso il delitto, è scappato
prima in auto e quindi in barca. Una motovedetta della Guardia Costiera
americana ha cercato di intercettarlo ma l’omicida è riuscito a far
perdere le tracce. Secondo gli investigatori ha raggiunto la costa
della British Columbia. Da qui avrebbe raggiunto, con un aereo di
linea, la parte orientale del Canada. Alle 23.10 di venerdì sera
Jenkins sarebbe stato fermato dagli agenti all’aeroporto di Toronto: in
queste ore sono in corso gli accertamenti per accertarne la vera
identità. Jenkins, protagonista di un reality, aveva sposato Jasmine
nell’aprile 2009 a Las Vegas. Un’unione finita dopo poche settimane: la
ragazza lo aveva denunciato per violenze. Una mossa che probabilmente
ha scatenato la vendetta di Jenkins.

 

 

Guido Olimpio

22 agosto 2009

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questioni di razzismo

«Tornerò in piscina col burkini
fa paura ai genitori, non ai bimbi»

Najat: a Bibione nessun problema. La donna è una mediatrice culturale marocchina. E parla per la prima volta

 

VERONA — «Tanto ci ritor­no». Parla. E lo fa con il sorri­so,
Najat Rezki, la donna ma­rocchina che entrò in piscina, qualche giorno
fa (alle «Santi­ni»), con quel costume che nessuno (o in pochi)
ricono­sceva come tale: il burkini (un’unione tra i termini biki­ni e
burka). Scalpore. Polemi­che. Pure lo spavento di qual­che bambino
secondo i re­sponsabili della piscina che le chiedono di mostrare
l’eti­chetta «perché deve seguire le norme igienico-sanitarie». Lei,
musulmana, deve se­guire i dettami della propria religione, che le
impone di co­prire il corpo sempre. Anche in piscina. Parla, e lo fa
per­ché vuole, una volta per tutte, chiarire la situazione. Elimina­re
equivoci o problemi. Najat, quel giorno, voleva solo fare un bagno in
piscina. Indossan­do il suo burkini. Vittima? «Ma chiariamoci – dice la
pro­tagonista ai microfoni di Tele Arena – il termine burkini non
esiste. Io lo chiamerei so­lo costume. Perché è quello che è.
Nient’altro». Entra in ac­qua, ma dopo poche braccia­te, le prime voci.
I mugugni, le proteste. «I bambini si spa­ventano» dicono alcune
mam­me, chiedendo di allontanar­la: «Macché spavento – ribat­te ora lei
– è stata solo una mossa per venirmi contro a tutti i costi».

«La nostra sorella ha sba­gliato a presentarsi in una pi­scina vestita in quel modo,
non si deve assolutamente provocare nessuno – aveva detto in tempi non
sospetti Mohamed Guerfi, il portavo­ce del Consiglio Islamico vero­nese
– . Se c’è una regola che vieta di fare il bagno con i ve­stiti, va
rispettata e invito la sorella a contattarmi perché le vorrei dare
personalmente il mio parere». Parla, Najat. Ma con il sorriso, il suo
italia­no sciolto perché vive a Vero­na dal ’96 e lavora come
me­diatrice culturale. E’ rimasta sorpresa dal clamore suscita­to da
questa vicenda. Tiene in mano il «costume della discor­dia». «Allora,
ve lo descrivo questo burkini. Il mio è azzur­ro, un tre pezzi
normalissi­mo: pantaloni, giacchetta e co­pri capo. E come scritto
sul­l’etichetta – racconta – è fab­bricato con gli stessi materiali di
tutti gli altri costumi in ven­dita: 70% tra acrilico e nylon, perfetto
per entrare in pisci­na, nessuna controindicazio­ne, anzi. Ma non solo
per la pi­scina».

Già, non solo. Perché dopo la polemica delle mamme alle piscine
San­tini, Najat se n’è andata a nuo­tare a Bibione. Lì nessun
pro­blema, anzi. «Al mare nessu­no ha detto nulla. Certo, c’era
curiosità perché mi rendo conto che non si veda tutti i giorni un
costume simile, ma non si sono spaventati o sono rimasti sconvolti. Ed
è pro­prio questo l’atteggiamento corretto da tenere, a mio avvi­so –
dice – . Bambini spaventa­ti? Questa è solo un’invenzio­ne per
giustificare quello che è successo a Verona – dice – . A Bibione i
bambini mi nuotava­no vicini e non si facevano problemi. Se la gente
vuole co­noscere dev’essere curiosa». E ancora: «I bambini non
c’entrano niente. Io con i bam­bini, anche alla "Santini" mi sono
divertita e con loro ho scambiato sorrisi. Ci lavoro con i bambini, non
ho proble­mi a rapportarmi con loro che ragionano in modo semplice e
vedono le diversità come qualità, non difetti. Lo spa­vento dei bambini
è solo una scusa per coprire la parte raz­zista delle mamme. E poi non
siete voi che dite che le donne musulmane sono chiuse e non escono di
casa, che do­vrebbero integrarsi? Ma come possiamo fare se non abbia­mo
la libertà di fare ciò che possiamo fare, rispettando co­munque i
nostri valori senza urtare i vostri? Nessuna pau­ra, nessun timore,
quindi. Ma solo curiosità. Perché è quella che dovrebbe muovere le
menti. In piscina? Beh mi sembra ovvio: certo che ci tor­no Non vedo il
motivo per cui dovrei rinunciarci» Della se­rie: il problema è vostro.
Do­vrete abituarvici.

Matteo Oxilia
21 agosto 2009

Pubblicato in violenza e donne immigrate | Commenti disabilitati su questioni di razzismo

la violenza maschile non ha età

Settantenne maltratta la moglie
Carabinieri gli trovano in casa arsenale

Manfredonia, deteneva illegalmente 12 fucili da caccia
con 105 cartucce e una Beretta risultata rubata

 

FOGGIA – Maltrattamenti e, in più, detenzione illegale di armi e
ricettazione. Con queste accuse molto diverse tra loro è stato
arrestato dai carabinieri un uomo di 70 anni. I militari sono stati
chiamati dalla moglie dell’uomo, stanza di subire vessazioni.

Una volta nell’abitazione, a
Manfredonia, hanno compiuto una perquisizione nell’appartamento
dell’anziano trovando un fucile calibro 12 da caccia con 105 cartucce,
18 proiettili cal.7,65 e una Beretta calibro 7.65 completa di
caricatore con otto proiettili, risultata rubata a Manfredonia nel
luglio del 1999.


20 agosto 2009

Pubblicato in Femminicidio quotidiano | Commenti disabilitati su la violenza maschile non ha età

quando le ragazze si difendono

L’aggressione in pieno giorno in una zona residenziale

Aggredisce quindicenne per violentarla
Preso clandestino espulso otto mesi fa

L’uomo sorpreso dalla reazione della ragazzina, che si è difesa a gomitate. Aveva in tasca il foglio di via

 

MILANO – Ha sentito una mano affer­rarla per la maglietta e
l’altra allentarle la cintura dei panta­loni. E lei d’istinto ha
reagito a gomitate: la prima nello sto­maco del suo aggressore, la
seconda e la terza direttamen­te in faccia, senza mai smette­re di
urlare. Finché il giovane, preso alla sprovvista, non ha allentato la
presa e lei è riusci­ta a divincolarsi e a colpirlo di nuovo con tutta
la forza che aveva in corpo. Soltanto allora Ilaria (il no­me è di
fantasia), 15 anni, stu­dentessa, di Seveso, ha capito che ce l’avrebbe
fatta a scappa­re. E così è stato: ha afferrato la bici, c’è saltata
sopra e peda­lando come una forsennata ha raggiunto casa, dove in
la­crime ha raccontato tutto ai genitori. Qualche ora più tar­di i
carabinieri di Meda han­no intercettato il suo aggres­sore: è un
marocchino tren­tenne, clandestino e già arre­stato otto mesi fa perché
sor­preso senza documenti. Ave­va il foglio di via ma dall’Italia non
se n’è mai andato.

La tentata violenza sessua­le è avvenuta in pieno giorno, in una
zona residenziale alla periferia di Seveso. Aveva tra­scorso un paio
d’ore in com­pagnia di un’amica. Mentre tornava a casa il suo
aggresso­re l’ha notata. Era in macchi­na. Forse la stava seguendo da
un po’, forse l’ha soltanto vista in quel momento, in ogni caso ha
aspettato che in strada non ci fosse nessuno per raggiungerla, scendere
dall’auto, rincorrerla a piedi per una decina di metri e bloc­carla.
Sembrava facile: una mano a tenerla stretta per la magliet­ta, l’altra
a tentare di slacciar­le i pantaloni. Ma l’uomo non ha fatto i conti
con la forza di volontà della ragazzina che, non appena ha sentito un
braccio stringersi intorno ai fianchi, ha cominciato a col­pirlo
urlando e chiedendo aiu­to. E’ stata la sua salvezza. La scarica di
gomitate ha costret­to il marocchino ad allentare la presa quel tanto
che è basta­to alla giovane per scappare. A casa la studentessa ha
spie­gato tutto ai genitori, che l’hanno accompagnata prima in ospedale
(stato di choc e uno strappo al collo è la dia­gnosi dei medici) e poi
in ca­serma. Il suo aggressore non l’ha fatta franca. La descrizio­ne
della vittima è stata così precisa che i carabinieri sono andati a
colpo sicuro: l’uomo è stato intercettato poco dopo e fermato. Era
ancora sull’au­to utilizzata per l’aggressione.

 

 

Diego Colombo
18 agosto 2009

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ciò che unisce le famiglie di tutto il mondo: il femminicidio

L’uomo scappa in auto e si schianta contro un muro: muore

Accoltella la moglie davanti alla figlia

Lite in un palazzo dell’Aler: la donna è ricoverata in fin di vita al San Paolo. Ferita, in modo lieve, la bimba

 

 
 

MILANO – Ha accoltellato la moglie sot­to gli occhi della
figlia di dieci anni. Poi è salito in macchina, ha vagato per un quarto
d’ora lungo le strade deserte, corren­do a velocità folle. Alla fine si
è schiantato contro il muro di un palazzo in via Ludovico il Moro, sul
Naviglio Grande, al­l’angolo con via Morimondo. La donna, marocchina, è
stata ferita alla pancia, alle braccia, al petto. Appena arrivata
al­l’ospedale San Paolo, è stata portata direttamente in sala
operatoria. È in condizioni gra­vissime. Ahmed C., 55 anni, è morto
invece al Policlinico un paio d’ore dopo l’incidente. A dare l’allarme
è stata la figlia della coppia. La piccola ha assi­stito alla lite, ha
visto il padre scatenarsi contro la madre, è ri­masta anche lei ferita
a un brac­cio durante l’aggressione. Poi, quando l’uomo è scappato, è
corsa fino al commissariato Lo­renteggio per chiedere aiuto: «Venite,
mio padre sta ucciden­do mia madre». Erano da poco passate le 20 di
domenica.

L’intervento è stato imme­diatamente girato ai carabinie­ri del
Nucleo radiomobile, che in quel momento avevano competenza sulla zona.
In po­chi minuti le «gazzelle» erano al quartiere Giambellino, in un
palazzo popolare in via degli Apuli, 4. Tutto è iniziato qui. La donna,
37 anni, era insie­me alla figlia e al marito. Non è chiaro cosa sia
accaduto, di cer­to il marocchino si è scagliato sulla donna con un
coltello e l’ha colpita molte volte davanti alla bimba, che ha cercato
di­speratamente di difendere la madre. Anche lei, sotto la furia dei
colpi, è rimasta ferita. Un taglio superficiale a un brac­cio,
nell’inutile tentativo di re­spingere il padre. L’uomo ha abbandonato
la donna in un la­go di sangue ed è fuggito a bor­do della sua auto,
una Ford scu­ra. «Era una furia, abbiamo sentito le urla», raccontano i
vi­cini di casa. All’origine dell’ag­gressione ci sarebbe una storia di
liti e rancori che si trascina­va da anni ed era stata denun­ciata al
commissariato di zona.

I carabinieri sono arrivati nel palazzo ed è scattata la cac­cia
all’uomo. Una ricerca dura­ta poco più di un quarto d’ora, quando
un’altra chiamata ha avvertito la centrale per un in­cidente: «Si è
schiantata un’au­to». La Ford è stata trovata in via Ludovico il Moro,
all’angolo con via Morimondo. Forse l’uo­mo ha cercato di svoltare,
men­tre scappava, e ha perso il con­trollo dell’auto. Era sotto choc. E
comunque viaggiava a una velocità talmente alta da far pensare che
avesse lanciato di proposito l’auto contro l’ango­lo il palazzo. I
medici del 118 hanno cercato di rianimare il 55enne e lo hanno
trasportato al Policlinico, dove è morto in­torno alle 22. Anche la
moglie è in fin di vita. Il raptus sembra l’estrema conseguenza di anni
di liti. «Sentivamo spesso urlare e di­scutere», racconta un vicino di
casa. Una storia confermata dalla bambina, che dopo aver visto la madre
in fin di vita è corsa al commissariato di via Primaticcio, là dove la
donna aveva presentato le denunce contro il marito.

 

 

Cesare Giuzzi
Gianni Santucci
17 agosto 2009

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è sempre colpa dell’alcol, non è mai colpa di ragazzi violenti?

Stupro di gruppo al falò di Ferragosto, testimone smentisce: «Era solo ubriaca»

La 17enne ha riconosciuto i tre aggressori
che saranno ascoltati lunedì dal magistrato di Velletri

 

 
 

Un falò sulla spiaggia per festeggiare il Ferragosto, chitarre e
bagno di mezzanotte. Risate, tanto alcol e poi la violenza. Così la
nottata di baldoria si è trasformata in un incubo per una ragazza
romana di 17 anni ospite di un’amica a Tor San Lorenzo, frazione di
Ardea, sul litorale a sud di Roma. La giovane ha denunciato alla
polizia di essere stata violentata da tre ragazzi romani appena
maggiorenni di buona famiglia (uno figlio di un dipendente pubblico)
conosciuti alla festa al consorzio balneare «Lido di Tirrenella» e con
i quali, al termine dei fuochi d’artificio, si è appartata in una
vicina casupola. I tre identificati saranno sentiti lunedì da Giuseppe
Patrone, magistrato di Velletri, che dovrà verificare le diverse
versioni dell’accaduto. Il racconto della vittima, infatti, non
coincide con quello di due testimoni presenti al falò che hanno
parlato, invece, di semplice confusione dovuta al troppo alcol e di un
evidente flirt con uno dei tre presunti responsabili.

 
 

«NON LI CONOSCEVO BENE» – Gli investigatori della Squadra
mobile, anche in attesa degli ultimi risultati sugli accertamenti
medici fatti alla giovane studentessa, stanno cercando di ricostruire
in ogni dettaglio il racconto fatto all’alba di sabato nel corso di
un’audizione protetta con una psicologa. La giovane vittima, è stato
accertato, sarebbe stata trovata dal padre non lontano dalla spiaggia
dove si svolgeva la festa e poco dopo avrebbe lei stessa raccontato di
trovarsi lì, contro la sua volontà. Subito dopo l’aggressione, verso le
4.45, la 17enne avrebbe telefonato al genitore che l’ha accompagnata
alla Polizia per la denuncia. «Non li conoscevo bene quei tre erano
amici di miei amici ed erano stati invitati per la serata, come altri
ragazzi del gruppo, ma non pensavo andasse a finire in quel modo» ha
detto la giovane agli agenti. Frasi che la giovane ha anche detto in
lacrime alla sua amica del cuore, considerata dagli inquirenti una
testimone chiave. Al termine dei fuochi d’artificio, i tre giovani si
sarebbero allontanati dal resto degli amici e in quel frangente sarebbe
avvenuta la violenza. Con ogni probabilità i giovani erano su di giri
anche a causa dell’alcol assunto durante la festa in spiaggia.

 
 

SMENTITA DAI TESTIMONI- La versione della ragazza è però
smentita dai testimoni secondo cui la 17enne avrebbe passato la serata
proprio con quei tre giovani, e con uno di loro in particolare, in un
clima affettuoso. Secondo le indiscrezioni, i giovani che partecipavano
al falò, avrebbero già raccontato, nero su bianco alla polizia, che non
c’è stata alcuna violenza sessuale. Probabilmente, avrebbero detto i
due testimoni, la situazione a causa della molta birra bevuta «sarebbe
un po’ sfuggita di mano ma senza nessuna violenza o nessun tipo di
costrizione». «Io c’ero, e non c’è stata violenza, semplicemente era
ubriaca». È quanto ha confermato ai microfoni della Rai un ragazzo che
ha partecipato alla festa sulla spiaggia di Tor San Lorenzo. Secondo il
giovane la ragazza avrebbe avuto paura perchè si è trovata tra tanta
gente: «Le è venuto il batticuore, si è vista isolata dal resto del
gruppo e ha iniziato a urlare. Da lì – spiega il giovane – tutto lo
sconvolgimento dei fatti».

I TRE SARANNO ASCOLTATI LUNEDI’ DAL MAGISTRATO – I tre giovani
romani appena maggiorenni e senza precedenti penali sono stati
identificati dagli agenti della squadra mobile di Roma e riconosciuti
dalla 17enne come i suoi violentatori. I ragazzi sono stati denunciati
in stato di libertà: non sono state poste restrizioni di alcun tipo e
sono quindi nelle loro abitazioni in attesa delle decisioni del
magistrato della Procura di Velletri che li interrogherà lunedì. Una
volta presa visione dei rapporti della squadra mobile di Roma e sentiti
i racconti dei testimoni, il magistrato deciderà la sorte dei tre
giovani. Sono ancora in corso confronti e rilievi, in attesa dei
risultati delle analisi mediche sulla ragazza.

IL PRECEDENTE – L’episodio
ricorda, anche se con aspetti diversi, un altro caso di violenza
sessuale avvenuto quest’anno a Roma in occasione di un giorno di festa.
Era Capodanno quando ad un veglione alla nuova fiera di Roma, una
ragazza di 25 anni, si è appartata con un ragazzo di 22 anni appena
conosciuto, subendo violenza.


16 agosto 2009

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in Italia la chiamano follia

Delitto d’onore: uccisa dallo zio
perché era stata stuprata

Ha sparato nove volte a una 16enne violentata dai cugini

 
 

MILANO – Nuovo delitto d’onore in Giordania, il 14esimo
dall’inizio dell’anno: un uomo ha ucciso una nipote di 16 anni,
sparandole nove volte, per difendere l’onore della famiglia perchè la
ragazza era stata violentata, secondo la stampa locale, dai suoi stessi
cugini. Da quello stupro due mesi fa era nato un figlio dato alla luce
con l’assenso e il sostegno dei genitori. Un affronto che però lo zio,
venuto a conoscenza della vicenda solo quattro giorni fa, ha deciso di
non lasciar correre: è entrato in casa della nipote con una pistola in
pugno, si è diretto nella sua stanza e senza dire una parola, davanti
al padre, le ha sparato mentre dormiva. Adesso, l’assassino dovrà
scontare 15 giorni di carcere in attesa che il giudice formalizzi le
accuse contro di lui. In galera sono anche i due responsabili dello
stupro della ragazza. Nessuno dei tre però, se condannato, dovrà
scontare una pena severa.

Ogni anno in Giordania,
Paese in cui secondo l’Ong Human Rights Watch almeno il 50% delle donne
è vittima di violenza domestica, vengono commessi in media 15-20
delitti d’onore che in base alla legislazione locale sono puniti con
una pena che va da 3 mesi a massimo un anno di carcere. Mogli, madri,
sorelle, figlie uccise dai propri parenti perchè sospettate di tenere
comportamenti "sfrontati" o vittime di violenze sessuali, una storia
che si ripete nella moderna Amman come nelle zone rurali. Una pratica
contro la quale si sono impegnati in prima persona anche re Abdallah e
la regina Rania, che per combattere i "delitti d’onore" ha lanciato un
appello su YouTube. Ma i loro sforzi per modificare gli articoli 98 e
340 del codice penale giordano, che garantiscono le attenuanti ai
colpevoli di questi crimini, sono finora falliti.

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4 uomini stuprano

Stupro di gruppo al Circeo: 41enne
in fin di vita, presi i quattro aggressori

Tre romeni e un indiano hanno attirato la donna nell’appartamento dove l’hanno picchiata e violentata

 

L’hanno massacrata di botte e poi violentata a turno, fino alle
due di notte, in una casa appena fuori da San Felice Circeo: il giorno
del suo compleanno, per «festeggiarla». Tre romeni e un indiano,
regolari e senza precedenti penali sono stati catturati mentre
tentavano di fuggire. La vittima, una donna di 41 anni è ora ricoverata
in prognosi riservata all’ospedale di Fondi, in provincia di Latina. La
donna, di cittadinanza romena, è stata soccorsa dai vicini che hanno
sentito le urla strazianti ed è stata trovata con lesioni all’addome e
all’intestino e con una forte emorragia.

FESTEGGIAMENTI «ALLA ROMENA» – Secondo le prime ricostruzioni
della polizia che indaga sull’accaduto, la donna sarebbe stata attirata
nell’appartamento dove vivevano i quattro uomini, Singh Talit, 20 anni,
l’indiano, Florin Neagu, 23 anni, Mirel Hegheligu, 30 anni e Stefan
Tabaranu di 35 anni . Lì sarebbe stata aggredita e violentata. Per
giustificarsi i quattro hanno detto che stavano festeggiando «alla
romena» il compleanno della vittima. Nessuno di loro ha precedenti e
l’indiano è regolare in Italia. A incitare alla violenza sarebbe stato
il più giovane, un romeno di 20 anni, tra le urla degli altri tre. Sono
in corso accertamenti sul proprietario dell’abitazione. La donna
intanto è stata operata d’urgenza

LEMANNO
– «Io credo che bisogna stare molto attenti. Il rischio di un aumento
della violenza sessuale è molto presente nel nostro paese, per due
motivi. Da un lato per una mercificazione del sesso, che vede la donna
come possibile oggetto di violenza o da utilizzare, e dall’altro lato
il fatto possono avvenire, qui nel nostro paese, degli atteggiamenti da
parte di aree di immigrati che vedono in una cultura arcaica la donna
come un oggetto di dominio. Su questi due fattori bisogna stare attenti
sia per le violenze sia in strada che tra le mura domestiche». Ad
affermarlo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, parlando al Tg di LA7.


10 agosto 2009(ultima modifica: 11 agosto 2009)

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conviventi che uccidono

Muore per sfuggire alle botte
del convivente: arrestato 61enne

La vittima sarebbe caduta dalle scale per evitare l’ennesima violenza da parte del compagno

 

Una storia di emarginazione, solitudine e violenza, culminata
in tragedia. Un uomo di 61 anni, Carlo Babacci, è stato arrestato dalla
polizia di Civitavecchia con l’accusa di aver malmenato brutalmente la
consorte Mara Goffredo, morta cadendo per le scale per sfuggire
all’ennesima violenza. L’episodio è avvenuto sabato ad Allumiere,
cittadina collinare vicino a Civitavecchia, a nord di Roma.

LA CADUTA PER SFUGGIRE ALLE BOTTE – La
vittima, 60enne, si è presentata nella notte di sabato ai medici del
pronto soccorso dell’ospedale San Paolo con varie ecchimosi sul corpo,
escoriazioni e un evidente trauma cranico per cui i medici avevano
deciso di sottoporla a una Tac. La donna, però, non ce l’ha fatta: è
morta prima ancora di essere trasferita al reparto di radiologia è di
fronte ai dottori che hanno tentato inutilmente di rianimarla. Ai
medici aveva detto di essere caduta in casa, ma la spiegazione fin
dall’inizio era sembrata poco convincente per la tipologia e la gravità
delle ferite.
Sono
così scattate le indagini da parte della polizia coordinata dalla
Procura di Civitavecchia. Indagini che hanno subito preso la pista di
una violenza domestica. A quanto si è appreso, la donna sarebbe sì
caduta dalle scale, ma per sfuggire alle percosse di Babacci

EMARGINAZIONE E PROBLEMI –L’uomo,
accusato di omicidio, è nel carcere di Aurelia e sarà interrogato nella
mattina di mercoledì dal Gip del Tribunale di Civitavecchia, Franco
Mazzeo. In attesa dei risultati dell’autopsia, fissata per mercoledì
pomeriggio, il trauma cranico subito nella caduta appare come la causa
più probabile del decesso. Versione confermata dalle testimonianze dei
vicini di casa che hanno soccorso la donna portandola all’ospedale.
Sullo sfondo dell’accaduto si intravede una storia di emarginazione e
solitudine. Senza figli, entrambi erano da tempo in cura al centro
d’igiene mentale di Civitavecchia. Secondo i testimoni ascoltati dagli
inquirenti, la coppia litigava di frequente ed in modo violento anche
per futili motivi. Liti durante le quali l’uomo finiva spesso per
malmenare la compagna. Da qualche anno i due si erano trasferiti da
Civitavecchia ad Allumiere dove, ad eccezione dei vicini di casa, quasi
nessuno li conosceva.

 

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la violenza ha mille sfumature e percezioni

«Fatima si è uccisa, non voleva più essere clandestina»

Da Il Messaggero dell’8 agosto 2009

Bergamo (8 agosto) – Alcuni passanti, giovedì pomeriggio, hanno visto
il suo corpo che galleggiava a faccia in giù proprio sotto il vecchio e
suggestivo ponte sul Brembo, nel centro di Ponte San Pietro. I
sommozzatori hanno ripescato il cadavere e i carabinieri le hanno dato
un nome: Fatima Aitcardi, 27 anni, marocchina, irregolare, mai censita
in Italia e sconosciuta alle forze dell’ordine. «Si è uccisa perché era
clandestina e non riusciva a regolarizzarsi», dice disperato il
fratello Mohamed. Oggi entra in vigore il reato sulla clandestinità e
l’avvicinarsi della scadenza, spiega il fratello venticinquenne, in
possesso di documenti a norma di legge come i genitori, la
terrorizzava: «Aveva paura di finire in prigione e di essere separata
dalla sua famiglia».

Ieri sera Mohamed è stato portato al comando
provinciale di Bergamo. Da lui gli investigatori vogliono sapere chi
fosse la sorella, come vivesse e soprattutto per quale motivo –
nonostante vivesse in Italia da cinque anni – non abbia mai presentato
in questura la richiesta di regolarizzazione.

«Abbiamo controllato più volte, effettuato ripetuti
accertamenti ma non ci risulta nessuna domanda. E allora, se temeva
così tanto il suo stato di clandestina, perché non ha mai sanato la
propria posizione?», è la riflessione dei carabinieri bergamaschi.
Forse la paura di Fatima è nata proprio nell’ultimo periodo, quando ha
scoperto che la sua condizione di immigrata irregolare sarebbe presto
diventata un reato.

«Per questo era caduta in depressione», afferma
Mohamed. I carabinieri tuttavia sono scettici e scavano nell’esistenza
di Fatima: una vita estremamente protetta, tutta all’interno della sua
famiglia o comunque del proprio ambiente. Aveva una sola amica e
confidente, la zia, e poteva uscire solo per andare da lei. Insomma, in
Italia la giovane marocchina era una specie di fantasma. Non girava in
macchina e quindi non è mai incappata in alcun controllo, si muoveva
nel raggio di poche centinaia di metri e sempre protetta da genitori e
fratello, tutti regolari. Solo lei era la clandestina di famiglia. Una
situazione diventata insostenibile a tal punto da indurla a uccidersi,
secondo Mohamed.

«Da lui vogliamo capire come mai la ragazza non ha mai
chiesto la regolarizzazione se le pesava così tanto il suo stato. E
perché il fratello ha denunciato solo ieri mattina la sua scomparsa,
lasciando passare quasi ventiquattr’ore?», ribadiscono i carabinieri.
Certo è che Fatima doveva essere distrutta quando giovedì pomeriggio
alle due è uscita di casa ed è andata a gettarsi nel fiume Brembo. Da
tempo, sono le scarne informazioni raccolte tra i conoscenti,
manifestava segni di depressione. Per una notte il suo copro è rimasto
senza nome, fino a quando il giorno dopo Mohamed si è presentato in
caserma.

«Il suicidio di Fatima Aitcardi è un atto sconvolgente
che mostra in modo drammatico quale sia la realtà della vita per molti
immigrati, che spesso rimane sotto silenzio», dice Livia Turco,
capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera. «Che una
giovane donna si tolga la vita – prosegue – è un fatto tragico da non
strumentalizzare. Piuttosto deve far riflettere tutti sulla necessità
di avere, in materia di immigrazione, regole più eque ed efficaci che
non generino paura che è sempre foriera di solitudine e insicurezza. Il
punto ineludibile è l’integrazione degli immigrati».
di Claudia Guasco

[ sabato 8 agosto 2009 ]

Pubblicato in violenza e donne immigrate | Commenti disabilitati su la violenza ha mille sfumature e percezioni