Una ragazza di diciotto anni, Sanaa Dafani, uccisa pochi giorni vicino a Pordenone dal padre, che si opponeva alle sue scelte di vita. Siamo piene di dolore e di collera per la vita spezzata di questa giovane donna. La morte di Sanaa si aggiunge a quelle di donne uccise o gravemente ferite in Italia negli ultimi mesi: Cristina M., 34 anni, uccisa dal marito separato (Rho, 29/8); Rosalia D., 17 anni, ferita gravemente alla testa dal fidanzato che voleva lasciare (Palermo, 23/8); Marta B., 36 anni, uccisa dal marito da cui si voleva separare, uccisi anche i due figli piccoli, Fabio e Mattia (7/8); Rossellina L., accoltellata a morte dal marito da cui stava divorziando (ViboValentia, 8/8); una donna non identificata dal giornale, accoltellata dal marito che voleva lasciare (Bari, 8/8); un’altra donna non identificata, strangolata dal convivente geloso (Roma,12/8). Al di là delle differenze – Sanaa è stata uccisa dal padre, un immigrato marocchino; le altre donne, e i loro bambini, da mariti o compagni, tutti italiani – colpiscono gli elementi comuni di queste tragedie: queste donne sono state uccise perché volevano scegliere le loro vite – allontanarsi dalla famiglia di origine e vivere con la persona amata, oppure chiudere una relazione, o lasciare un uomo violento, e perché pensavano, nell’Italia del 2009, che fosse possibile farlo. Sono morte perché uomini a loro vicini non hanno sopportato la loro autonomia, la loro libertà: da questa libertà si sono sentiti diminuiti, e le hanno uccise. Violare, maltrattare, uccidere una donna è inaccettabile. Non ci sono scusanti di ordine culturale o religioso: nel 2007, un giudice tedesco ha ridotto la pena a un immigrato italiano, colpevole di aver sequestrato e torturato la fidanzata che voleva lasciarlo, in quanto aveva considerato che venisse da una cultura arretrata. Né possiamo accettare le scusanti addotte quando un uomo uccide la moglie, e spesso i figli, perché lei voleva lasciarlo, spesso dopo anni di maltrattamenti: un raptus, un litigio, troppo amore, troppo dolore. Ma non possiamo neppure accettare che l’assassinio di Sanaa venga strumentalizzato per una campagna razzista, in cui tutti gli immigrati vengono assimilati a quei pochi che delinquono: sarebbe come affermare che tutti gli uomini sono degli assassini perché alcuni uccidono le donne. Né possiamo accettare una visione delle culture diverse dalla nostre come statiche, immutabili: in Italia il delitto d’onore è stato abrogato dal Codice penale italiano solo nel 1981. Le culture cambiano, evolvono: quella italiana, come le altre.
Leggiamo dai giornali che la Regione Friuli Venezia Giulia vuole costituirsi parte civile contro il padre assassino di Sanaa. E’ un atto forte di assunzione di responsabilità nel contrasto della violenza maschile contro le donne. Ci aspettiamo che questo atto sia accompagnato da altre misure, come il sostegno ai Centri anti-violenza. Per concludere, speriamo con tutto il cuore che, anche grazie al lavoro dei Centri anti-violenza e delle istituzioni – forze dell’ordine, giustizia, operatori socio-sanitari-, nessuna donna debba essere più uccisa solo perché è una donna. Se questo tragicamente dovesse accadere, qualunque sia il colore, la cultura o la religione dell’assassino, ci aspettiamo che non solo la Regione ma anche gli altri Enti locali e lo Stato siano altrettanto forti e determinati nel condannare la violenza.
Patrizia Romito (romito@univ.trieste.it)