«Tornerò in piscina col burkini
fa paura ai genitori, non ai bimbi»
Najat: a Bibione nessun problema. La donna è una mediatrice culturale marocchina. E parla per la prima volta
VERONA — «Tanto ci ritorno». Parla. E lo fa con il sorriso,
Najat Rezki, la donna marocchina che entrò in piscina, qualche giorno
fa (alle «Santini»), con quel costume che nessuno (o in pochi)
riconosceva come tale: il burkini (un’unione tra i termini bikini e
burka). Scalpore. Polemiche. Pure lo spavento di qualche bambino
secondo i responsabili della piscina che le chiedono di mostrare
l’etichetta «perché deve seguire le norme igienico-sanitarie». Lei,
musulmana, deve seguire i dettami della propria religione, che le
impone di coprire il corpo sempre. Anche in piscina. Parla, e lo fa
perché vuole, una volta per tutte, chiarire la situazione. Eliminare
equivoci o problemi. Najat, quel giorno, voleva solo fare un bagno in
piscina. Indossando il suo burkini. Vittima? «Ma chiariamoci – dice la
protagonista ai microfoni di Tele Arena – il termine burkini non
esiste. Io lo chiamerei solo costume. Perché è quello che è.
Nient’altro». Entra in acqua, ma dopo poche bracciate, le prime voci.
I mugugni, le proteste. «I bambini si spaventano» dicono alcune
mamme, chiedendo di allontanarla: «Macché spavento – ribatte ora lei
– è stata solo una mossa per venirmi contro a tutti i costi».
«La nostra sorella ha sbagliato a presentarsi in una piscina vestita in quel modo,
non si deve assolutamente provocare nessuno – aveva detto in tempi non
sospetti Mohamed Guerfi, il portavoce del Consiglio Islamico veronese
– . Se c’è una regola che vieta di fare il bagno con i vestiti, va
rispettata e invito la sorella a contattarmi perché le vorrei dare
personalmente il mio parere». Parla, Najat. Ma con il sorriso, il suo
italiano sciolto perché vive a Verona dal ’96 e lavora come
mediatrice culturale. E’ rimasta sorpresa dal clamore suscitato da
questa vicenda. Tiene in mano il «costume della discordia». «Allora,
ve lo descrivo questo burkini. Il mio è azzurro, un tre pezzi
normalissimo: pantaloni, giacchetta e copri capo. E come scritto
sull’etichetta – racconta – è fabbricato con gli stessi materiali di
tutti gli altri costumi in vendita: 70% tra acrilico e nylon, perfetto
per entrare in piscina, nessuna controindicazione, anzi. Ma non solo
per la piscina».
Già, non solo. Perché dopo la polemica delle mamme alle piscine
Santini, Najat se n’è andata a nuotare a Bibione. Lì nessun
problema, anzi. «Al mare nessuno ha detto nulla. Certo, c’era
curiosità perché mi rendo conto che non si veda tutti i giorni un
costume simile, ma non si sono spaventati o sono rimasti sconvolti. Ed
è proprio questo l’atteggiamento corretto da tenere, a mio avviso –
dice – . Bambini spaventati? Questa è solo un’invenzione per
giustificare quello che è successo a Verona – dice – . A Bibione i
bambini mi nuotavano vicini e non si facevano problemi. Se la gente
vuole conoscere dev’essere curiosa». E ancora: «I bambini non
c’entrano niente. Io con i bambini, anche alla "Santini" mi sono
divertita e con loro ho scambiato sorrisi. Ci lavoro con i bambini, non
ho problemi a rapportarmi con loro che ragionano in modo semplice e
vedono le diversità come qualità, non difetti. Lo spavento dei bambini
è solo una scusa per coprire la parte razzista delle mamme. E poi non
siete voi che dite che le donne musulmane sono chiuse e non escono di
casa, che dovrebbero integrarsi? Ma come possiamo fare se non abbiamo
la libertà di fare ciò che possiamo fare, rispettando comunque i
nostri valori senza urtare i vostri? Nessuna paura, nessun timore,
quindi. Ma solo curiosità. Perché è quella che dovrebbe muovere le
menti. In piscina? Beh mi sembra ovvio: certo che ci torno Non vedo il
motivo per cui dovrei rinunciarci» Della serie: il problema è vostro.
Dovrete abituarvici.
Matteo Oxilia
21 agosto 2009