Lettera di Mara, la ragazza aggredita al Parco Nord il 26/08/2006

SONO MARA, LA RAGAZZA AGGREDITA AL PARCO NORD IL 26 AGOSTO SCORSO.
Sono la ragazza del parco nord o almeno così  mi hanno definita.
I giornali, i carabinieri e  vari esponenti politici durante i loro dibattiti.
Il mio caso è servito per fare statistiche o rivendicare falsi aiuti e disponibilità mai giuntemi concretamente.
Hanno tentato di stuprarmi in via Stalingrado il 26 agosto all’uscita della festa dell’unità, luogo a detta dei cosiddetti compagni sicuro,  “alle nostre feste solo brava gente”.
Permettetemi di dirvi cari compagni che nessun luogo per le donne può ritenersi sicuro, non lo sono le mura domestiche figuriamoci se  può esserlo uno spazio dove certo prioritaria non è la sicurezza per le donne.
Fino a quando non si riconoscerà che la violenza alle donne non è un fatto privato, che non si risolve con qualche lampadina in più, ma con l’impegno comune per rompere il silenzio da cui si alimenta, noi donne continueremo ad essere sempre più esposte.
Ma io non sono la ragazza del parco  nord o almeno non solo, il mio vissuto raccoglie e racconta molto di più.
 Vengo da un paese dove gli stupri e le violenze vengono tenuti nascosti dentro le pareti di casa, dove ogni sopraffazione fisica e psicologica su una donna  è quotidianità, dove non desta scalpore soprattutto se viene consumata da un uomo che ti sta vicino.
Sin da ragazzina mi sono ripromessa che mai mi sarei resa complice di una violenza non denunciandola e non isolando in tutti i modi chi la compie. Non avrei mai accettato di avere accanto a me un uomo che in qualunque modo avrebbe potuto agire violenza su una donna, e su di me per prima.
E credetemi non è cosa semplice in una famiglia con prevalente presenza maschile.
Con il tempo ho scoperto che l’omertà e l’indifferenza che vedevo in chi abitava nel mio paese era la normalità assoluta in ogni luogo, in ogni angolo del pianeta. Ho cominciato a Bologna a fare politica con le donne,, sono cresciuta tanto , ho imparato a dare valore a tutta me stessa al mio corpo e alla mia testa.
 Ho conosciuto donne che hanno subito violenza, che hanno denunciato, che hanno urlato la propria rabbia e nel momento in cui sono state aggredite, violate e insultate l’ hanno trasformata in forza per difendersi, per liberarsi.
Io a loro dico grazie, perché queste donne mi hanno dato la forza di urlare e di salvare il mio corpo quando la notte del 26 agosto  hanno tentato di stuprarmi.  
La violenza che ho subito ha avuto solo un inizio quella notte poi è continuata inarrestabile e continua ancora.
Aggressione, carabinieri, pronto soccorso, interrogatori, confronto, stampa.
Ho visto sulla prima pagina dei giornali la mia foto, i giornalisti mi aspettavano fuori dalla porta di casa e si presentavano sul posto di lavoro.
Ma non ero io la complice o colpevole di un delitto,
Ho dovuto lottare  per la mia credibilità,  attraverso quasi un’indagine sulla mie abitudini, sulla mia socialità e sulla mia occupazione.
Mi chiedo se non avessi avuto tanti testimoni,  se non avessi avuto un’occupazione stabile, se sul mio corpo non fossero stati evidenti graffi e in particolare sul collo il segno inconfondibile di un tentato strangolamento, se fossi  un’immigrata senza permesso di soggiorno, una disoccupata, una senza fissa dimora, tossicodipendente,  una prostituta quale sarebbe stata la mia credibilità?
Mi chiedo, perché una donna violentata deve continuare a difendersi mentre ad uno stupratore vengono riconosciute delle attenuanti.

Il mio aggressore ha tutte le caratteristiche riconosciute comunemente affidabili è bianco, italiano, buon padre di famiglia.  Assieme ai suoi avvocati ha dichiarato di avermi scambiato per una prostituta, nell’intento palese di scagionarsi e fornire un’attenuante.
 Come se il corpo di una prostituta fosse oggetto di violenza socialmente e giuridicamente e più comprensibile.
In quel momento ho pensato quante altre aggressioni sono avvenute in quel  luogo e in quel  modo.
Quante taciute e rimaste nel silenzio, quanti stupratori non identificati che continuano la loro vita nella totale accettazione di chi hanno accanto, le donne che non denunciano si trovano di fronte ad una scelta obbligata legata alla loro condizione sociale ed economica.
In questo stato non esistono diritti per le immigrate clandestine.
Ma lo stupro e la violazione del corpo non può lasciare impuniti chi le compie perché la vittima non è considerata un soggetto di diritto.Certo è che se i tribunali ritengono un attenuante stuprare una prostituta e la nostra società civile lo avvalla allora altri sono gli strumenti di difesa che noi donne e lesbiche dobbiamo inventare e sperimentare.
Io per difendermi ho usato gli strumenti che tutte noi donne possediamo e ho urlato, scalciato graffiato.  Ma ho anche scelto di denunciare il mio aggressore e di raccontare la mia esperienza.
Come me altre. Vorrei ricordare la grande forza che è arrivata a tutte noi da Paola di torre del lago stuprata perché  lesbica.  La forza di una donna stuprata da due ragazzi che conosceva bene  insospettabili in un appartamento qui a Bologna.
Attraverso la mia esperienza sento di poter riaffermare con forza una convinzione che già avevo maturato all’interno del collettivo femminista e lesbico di cui faccio parte, il collettivo clitoristrix, e cioè che difendersi e denunciare sono strumenti da cui non si può  prescindere.
Quando parlo di denuncia non mi riferisco elusivamente ad un percorso legale, necessario però per rompere il meccanismo di complicità che instilla la paura nelle donne ma anche la necessità di dire, nominare , raccontare e condividere con altre donne un’esperienza che solo così può essere superata e diventare patrimonio comune come strumento di autodifesa e di resistenza.
L’indifferenza e la complicità delle istituzioni che discutono ,ma non agiscono, promettono finanziamenti ai centri delle donne e poi li negano, non annebbiano la verità che dobbiamo insieme restituire a tutte le donne che si espongono e che mettono in gioco se stesse.
Per questo insieme saremo il 2 dicembre a Crevalcore luogo di residenza del mio aggressore perché  le donne non dimenticano.

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